Vorremmo essere rovinati piuttosto che cambiare;
vorremmo piuttosto morire nel nostro terrore
che scalare l’avversità dell’attimo
e lasciare che la nostra illusione muoia
(W.H. Auden)
Proseguiamo la piccola galleria poetica che sembrate gradire, riflettendo su questi versi del poeta W. H. Auden a cui dobbiamo alcune liriche davvero magnifiche (come quelle, ad esempio, che si trovano nel libro Un altro tempo, pubblicato da Adelphi).
W.H. Auden cristallizza in questi versi una realtà terribile quanto sconcertante: l’essere umano è terrorizzato dai cambiamenti. Malgrado i proclami che più volte lanciamo nella vita, malgrado le annunciazioni più o meno “pubbliche” sulla nostra presunta, futura realtà nella quale giuriamo a noi stessi e al mondo che saremo diversi, malgrado le frasi tassative (“Niente sarà mai più come prima, giuro che stavolta sarò diverso”) con cui pensiamo di aver toccato la radice della nostra fissità trasformandola magicamente in mobilità, siamo invece appesi ai nostri schemi come scimmiette, come naufraghi avvinghiati alla zattera di una deriva temuta ma familiare.
Le metamorfosi dell’essere hanno bisogno di una estremizzazione in cui a volte si sfiora la morte per avere qualche possibilità di reale rinnovamento.
Come succede a Gregor Samsa, che all’improvviso si sveglia e si ritrova trasformato in un insetto. Se quella del protagonista kafkiano è una metamorfosi plumbea, metafora del un cambiamento dolente di un essere alienato al punto da diventare un insetto, la metamorfosi inversa, ovvero un ipotetico cambiamento verso uno stato “aereo” dell’essere, alleggerito da zavorre interiori, diventa davvero difficile da realizzare.
Perché siamo terribilmente pantofolai, e preferiamo percorrere all’infinito le strade ammaccate e dolenti dei nostri vizi, infilandoci sempre negli stessi, angusti anfratti in cui però, malgrado il dolore, ci riconosciamo, piuttosto che scoprire l’orrore della libertà.
Già, l’orrore della libertà.
Fa paura, la libertà.
Non riconoscersi più nei vecchi schemi coincide con il perdere l’identità (ma si perde l’Io, non il Sé). Meglio dunque una vita nei gironi infernali piuttosto che un solo giorno, da liberi, in Paradiso.
Tuttavia ogni volta che perdiamo qualcosa si apre una porta verso un cambiamento.
Il problema è varcarla.