Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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CAVALIERE, REGINA, RE

 

 

 

Pensavo sempre, in quei giorni, alla morte di Artù.

Perché Artù non era un re qualunque, era il Re. E io avevo avuto la fortuna di incontrarlo. Era saggio, era profondo. Era meravigliosamente idealista, sempre alla ricerca di un cuore grande che accogliesse i piccoli cuoricini sballottati da una vita così tragica e meravigliosa.

Eppure a un certo punto il mio cuore iniziò a palpitare per un giovane Lancillotto. Come accadde a lei, a Ginevra.

E come lei vissi la sospensione eterna dell’attimo funesto che coagula i nostri destini restituendoli nella scacchiera modificati per sempre.

In quella scacchiera c’erano un Re, una Regina, un Cavaliere.

Il Re non morì ma visse sulla pelle il mio tradimento. Il nostro tradimento. Fatto di respiri furtivi appesi al desiderio, di soste prolungate sotto la porta di casa, come due adolescenti imbarazzati, colpevoli.

Non c’è tradimento più ardente dell’amore consumato nell’immaginazione, nelle notti febbrili in cui l’anima si confonde, si lacera, senza mai toccare con la sua carne la realtà anelata, senza mai conoscere con l’esperienza.

Solo qualche bacio in un oceano di attese.

Eppure il mio Artù accettò, e capì. Mi aspettò finché le turbolenze non depositarono nuove gocce di rugiada fresca nel prato dissetato della mia mente.

Lancillotto bruciava di vita, di rivoluzioni e di battaglie. Era vulcano, sì. Ma nel mio Artù ardeva la brace, quella stessa brace che un giorno futuro, a fuoco consumato, non avrei forse trovato più nel mio giovane cavaliere.  

Quando Lancillotto partì (e non se ne andò in groppa a un cavallo bianco ma su una nave diretta a Sud) non ero ancora sicura di aver aiutato la mano del destino a compiere la mossa giusta. Temevo di rimpiangere il mio perduto amore.

Poi è passato, trascorso come tutte le cose che somigliano sempre alle onde. Affiorano, luccicano ai raggi del sole e poi scompaiono lasciando solo una scia lieve le cui bolle scompaiono in un soffio di secondi.

Ma di quel perduto amore, oggi, conservo ancora un profumo di rosa selvaggia.

Però Artù è ancora accanto a me. E continua a odorare di ambra e di stelle.

(Aurora Semente – Dove tace il tempo)

 

Ma perché "un amore solo non basta a scaldare il cuore", come scrive Amado in Dona Flor e i suoi due mariti? 

Una donna e i suoi amori possibili. Un uomo davanti all’incanto di un bivio (come Ercole nei Tarocchi).

Ginevra ama il suo Re ma allo stesso tempo è travolta dal giovane amante con il quale rischierà addirittura l’intero regno di Camelot.

Due amori diversi ma allo stesso tempo sinceri, reali. L’uno frutto dei sensi, l’altro senso profondo dovuto alla lealtà, al rispetto, all’etica che meraviglia le cose che sfiora.

Ginevra alla fine resterà sola, vivrà in un convento. Non è stata capace di assopire il suo desiderio perché la sua "singolar tenzone", in cui è impegnata contro sé stessa,  non può resistere davanti al cavallo della passione. E così l’amore tracima, mentre la fiamma del tradimento appicca l’incendio.

Cavaliere, Regina e Re.

Chissà, forse è vero, forse un solo amore non basta a scaldare il cuore