Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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MAGIA DELLE FORBICI

 

 

 

E’ una deformazione professionale, ma non posso non trovare refusi o ragionare sulle scelte di alcuni editing neppure quando leggo per diletto.

Questo materiale lo uso poi, puntualmente, nella didattica.

L’altro giorno, leggendo il libro di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi (già segnalato sul blog) mi sono imbattuta in un paio di eccessi che, a mio avviso, rovinano un po’ la bella impalcatura stilitsica dell’opera.

Giordano usa intuizioni descrittive piene di picchi efficaci (come quando, per esempio, paragona "una spolverata di forfora" a un piccolo cielo stellato), si attarda sui dettagli di luoghi e situazioni ("il buio si era preso tutto il cielo, a parte una striscia sottile che correva lungo l’orizzonte e non serviva a nulla"), indaga la complessità di alcune zone fragili nelle nostre vite ("La gente si prendeva quello che voleva, si aggrappava alle coincidenze, quelle poche, e ci tirava su un’esistenza"). 

Insomma una scrittura tersa, precisa, affilata.

Tuttavia a volte la prosa si appesantisce inutilmente. Accade, qua e là, quando Giordano, laureato in fisica teorica (anche il protagonista del libro si dedica a materie analoghe), usa termini troppo scientifici che risultano ridondanti.

Come a pagina 184:

"Lo buttò (un panetto di burro, n.d.a.) nella padella per mantecare il risotto e quello si sciolse, liberando tutti i suoi grassi saturi e animali".

C’è uno stridore, si avverte un peso arbitrario in quella coppia di aggettivi, "saturi e animali", troppo precisi, troppo "tecnici" per il contesto narrativo. Peraltro l’io narrante non è Mattia, il protagonista-scienziato a cui fa da contraltare Alice, l’altra protagonista che sogna di fare la fotografa mentre affoga nelle sue tensioni irrisolte. Dunque il lessico non deve per forza ricorrere a queste  precisazioni.

Bastava scrivere, a mio avviso: "liberando tutti i suoi grassi". Punto.

Come lettrice ho avvertito una piccola punta di irritazione, punta che si è replicata anche altrove nel testo, sempre davanti all’eccesso di precisazioni simili. Inutili, secondo me. Artificiose.

Sebbene la prosa sia piuttosto elegante, raffinata, si mantiene quasi sempre nei paraggi di una letterarietà che non sconfina però in virtuosismi barocchi rimanendo semplice e soprattutto plausibile.

Invece davanti a quei grassi saturi e animali mi sono infastidita. Chissenfrega, di quanti tipi di grassi ci siano. Non aggiunge nè toglie nulla in quel contesto.

A volte le forbici fanno meraviglie, sui testi.

Specie quando snelliscono gli aggettivi, da usare sempre con cautela perchè, come accade con il punto esclamativo, rischiano di ferire con la loro invadenza una prosa altrimenti agile.

Come editor e consulente editoriale, preferisco sempre mettere mano alle forbici piuttosto che usare le extension.

Come lettrice per hobby sono piuttosto esigente, probabilmente perchè a forza di valutare testi letterari negli anni si perde un po’ il gusto di una lettura spontanea, libera dal giudizio professionale. Ma sono anche consapevole che il lettore, alla fine, è il vero destinatario di un’opera.

Non lo è l’autore, non lo è l’editore, non lo sono editor e correttori di bozze.

E il lettore di solito fiuta qualche tranello in cui casca l’autore, anche se non sa sempre dargli una forma.

In tutti questi anni di frequentazione assidua con la scrittura ho apprezzato la magia delle forbici pronte a potare ridondanze e velleità narrative.

Il libro di Giordano, comunque, rimane un libro apprezzabile.

Un’opera prima che, come accade per la maggior parte delle opere prime, prelude a una successiva maturità in cui alcuni attaccamenti pretenziosi vengono solitamente abbandonati.

Per quanto riguarda gli aggettivi, l’uso imprudente si paga.

Si paga quando il lettore si arresta, quando sente uno stridore improvviso che urta la piacevolezza della navigazione.