Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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WHAT’S IN A NAME?

 

 

Tis but thy name that is my enemy;
Thou art thyself, though not a Montague.
What’s Montague? it is nor hand, nor foot,
Nor arm, nor face, nor any other part
Belonging to a man. O, be some other name!
What’s in a name? that which we call a rose
By any other name would smell as sweet;
So Romeo would, were he not Romeo call’d,
Retain that dear perfection which he owes
Without that title.

Non è il tuo nome il mio nemico
sei tu te stesso, anche se non un Montecchi.
Cos’è un Montecchi? Non è né mano, né piede,
non è braccio né faccia, né ogni altra parte
del corpo di un uomo. Oh, sii un altro nome!
Che cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo una rosa
con qualsiasi altro nome avrebbe comunque un profumo tanto dolce.
Così anche Romeo: se non fosse chiamato Romeo
manterrebbe quella cara perfezione che gli appartiene
senza quel titolo.

Romeo e Giulietta, Shakespeare

“What’ s in a name”? Si chiedeva Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Cosa c’è in un nome? Cos’è un nome?
Un nome racchiude l’essenza che, malgrado sia immutabile, proprio da questo nome viene incarnata per vivere la sua “storia”.
Infatti furono proprio i cognomi di Romeo e Giulietta, Montecchi e Capuleti, a determinarne l’amaro destino.

La consapevolezza della parola, del nome, è di vitale importanza.
Chiamare le cose con il giusto nome.

Non a caso negli antichi miti aborigeni il mondo è stato creato attraverso un canto le cui parole indicavano le cose, che in questo modo si anima-vano.
Il nome è potere.
Non possiamo essere approssimativi, indicare qualcosa senza cercare la massima precisione. Se si lavora con le parole, bisogna conoscerne la forza.

Trovare sempre il nome più adatto non è facile.
Per questo a volte ci soccorrono i dizionari di sinonimi e contrari, di prezioso ausilio.
Ma la parola che nasce dall’ispirazione è spesso quella più giusta.
Più tardi, scrivendo, confronteremo, cercheremo, limeremo, sposteremo.
Ma le parole vanno lasciate libere di fluire in ogni processo creativo.
Un po’ come se fossimo noi, gli antichi aborigeni australiani alle prese con le loro “Vie dei Canti” di chatwiniana memoria.