La gattitudine è uno stato dell’anima, oserei dire. Non c’è nulla di più bello di quei momenti pacioccosi, negligenti, beati, che si passano insieme ai gatti. Momenti che ripagano della fatica di vivere, sul serio.

Solo chi vive le gattitudini può capire questo stato particolare che è quasi come un satori.

Anzi, un "gattori".

Dei miei due gatti, uno è filosofo, l’altra una disadattata arruffona e un po’ psicopatica, adorabilmente psicopatica.

Uno è un po’ orso, l’altra è un felino allo stato brado.

Lui "pensa", lei si struscia maliziosa.

Lui si fa appendere a testa in giù, lei rizza il pelo come provi a prenderla in braccio, fissandoti con i suoi occhi spiritati.

Lui è lago tranquillo, lei è onda di mare in tempesta.

Lui è brezza, lei bufera.

Lui somiglia a una sonata di Mozart, lei a un concerto dei Led Zeppelin.

Lui è "nanna", lei "insonnia".

Tutti e due, a forza di opposti, finiscono per somigliarsi.

Con loro vivo le mie gattitudini.

Le più belle? Nelle giornate come questa, quando fuori piove e mi rannicchio sul divano, un libro e due gatti.

Momenti di essere, momenti di assenze e presenze.

Gattitudini, appunto.