Bella questa immagine. Mi fa pensare al Natale dell’infanzia, quando credevo ancora al vecchino che arrivava sulla slitta, quando il mondo era una promessa continua, in cui ogni giorno una stella cometa sarebbe potuta atterrare sul mio destino cingendolo di ori e di luce. Quando i buoni erano buoni e i cattivi rappresentavano solo un’oscura, ignota minaccia. Quando le favole accendevano le luci in ogni stanza mentre insieme alla neve cadevano anche le malinconie, raccolte dai folletti ogni notte e deposte lontano, lontano, lontano.
Come tutti i bambini, avevo un’immagine idealizzata che proiettavo sul mondo.
Poi cresciamo. Amiamo. Soffriamo. Gioiamo. Insomma, facciamo tutto quello che i bravi adulti devono fare.
Ma il Natale fatalmente ci riporta indietro. E ci fa fare i conti con i sogni smarriti, gli adulti invecchiati, l’assenza di folletti a raccattare le disarmonie del cuore.
E ci fa contare anche i nostri tesori. E’ una zona cruciale, il natale. Un punto d’arrivo e di partenza, una bilancia, il ritorno di un appuntamento.
C’è chi lo ama e chi lo detesta. E’ ovvio: lo ama chi sta in compagnia, lo detesta chi vive una obbligata solitudine.
Ma c’è anche l’avversione per il buonismo commerciale, per l’assenza di significati profondi.
A me dà fastidio, sì. Non mi piace il natale alla Bauli. Si può dare di più, si può dare di più, si può dare di più…Ergo si può comprare di più. Beh io non lo compro, il tuo panettone.
Il Natale non è commercio. Eppure quell’intimità, oggi, l’hanno persa anche i bambini. Frastornati dai regali, dal luna park di parenti in festa che decidono di volersi bene “perchè è Natale”, dai geitori scoppiati che si riaccoppiano…
Mia mamma mi racconta dei natali di un tempo. C’era più assenza ma…più presenza.
Tuttavia, a ciascuno il suo. Si vede che a noi tocca questo, di Natale. Il Natale di Bauli.