In fondo, se ripenso a tutti uomini che ho amato, c’è sempre stato un dettaglio che ha corrotto l’attimo in cui era ancora possibile fare quella virata che avrebbe diviso le nostre vite.

Con l’ultimo compagno, buffo, il dettaglio fatale mi fu rivelato da una frase, una semplice frase che si è incuneata nella memoria. Fu durante un momento difficile, uno di quei momenti in cui la mia luna muta forma e colore, barattando il suo pallore perlaceo, la sua forma rotonda, come il profilo di una collina, con una lancia appuntita, irrorata di sangue, con la quale invece di ferire gli altri ferisco me stessa.

Mentre mi dibattevo nel mio dramma interiore, lui mi disse, semplicemente: "Piantala di fare Eleonora Duse appesa alla tenda". Eleonora Duse appesa alla tenda? Eleonora Duse appesa alla tenda.

Quando qualcuno rovescia sulle nostre tragedie il sale dell’ironia, e ci fa apparire ridicoli, all’improvviso muta in noi  lo sguardo sul mondo perché ci vediamo da fuori, non dall’interno. E lui aveva ragione, accidenti.  Aggrovigliata nel mio malessere, nell’enfasi  teatrale di quella condizione uggiosa, mi sentii  in quell’attimo "tirata fuori", scaravantata all’esterno. Quella che guardavo, agganciata al suo dolore, somigliava tremendamente a Eleonora Duse aggrappata a una tenda.

Fu uno schiaffone. Ma mi fece bene.

Credo di essermi innamorata in quel momento.

Perché più che l’estasi della carne, la vertigine provocata dalla lama dell’intelligenza che ti solletica la gola, ti mette a nudo, scarnifica le tue fragilità, quella vertigine, dicevo, desta una corrispondenza elettiva che ti rimane addosso come un marchio di fuoco.

 

 

Di quello che invece fu il mio magnifico amante in un periodo attraversato da uragani che si alternavano a siccità, ricordo il dettaglio che nella memoria segnò l’ora dell’attrazione irrevocabile.

Si affacciò, quel dettaglio, durante una cena al ristorante (ci conoscevamo da poco) in cui lui con un gesto insofferente  si allentò la cravatta sul collo e se la tolse infilandosela rapidamente nel taschino della giacca.

Quel gesto aveva un qualcosa di animalesco, di sensuale. Era come la brezza atlantica, come una foresta amazzonica. Con quel movimento rapido era come se si fosse spogliato. Spogliato per me. Spogliato del protocollo, del ruolo, del limite con cui "le buone maniere" inamidano le nostre giornate.

Sentii qualcosa di selvaggio. E in quel momento lo desiderai.

 

Di un altro amore remoto, disperso nei frammenti del tempo in cui la memoria come un’onda si assottiglia fino a scomparire per poi tornare di nuovo, schiumante, portatrice di immagini effervescenti come la spuma che si infrange sulla riva, ricordo la voce profonda, assolutamente svincolata dall’identità anagrafica. Sembrava appartenere a un uomo mentre lui era appena poco più che un ragazzo. La sua voce sgaiattolava fuori dall’età per cantare il suo canto di sirena. Non feci come Ulisse, non mi legai al palo. E in quella voce mi persi.

Ma ci fu anche il grande amore impossibile, come in ogni vita che si rispetti. Il romanzo che si fa carne, si fa sangue.

All’inizio si trattava di simpatia, di confidenziale piacere nella conversazione. Ero protetta da una relazione importante, lui anche. Magari fu per questo che ci sporgemmo più in là, sicuri delle nostre certezze. A un certo punto, lo smottamento che provocò mesi duri, difficili, in cui il cuore soffriva per il rettilineo della ragione. Mi chiesi tante volte, nel corso di quei mesi, come eravamo finiti a nuotare l’uno negli occhi dell’altra senza senza scivolare mai fuori dalla nostra pelle, lacerando quei confini ormai così fragili.

Come cominciò? Sempre per un dettaglio che ancora adesso si profila nel nitore della memoria.

Eravamo a Napoli, di notte. Stavamo guardando il mare, affacciati su una terrazza circondata dal buio. Le luci della città, dietro di noi, sembravano stelle appoggiate sulle colline. Davanti, un’isola. "Sai cos’è quella? E’ Nisida". Non so, forse fu come girò lo sguardo verso di me. O forse  fu il suo sorriso orgoglioso, un sorriso di vulcano e di mare, di acqua e di fuoco. Come la sua città. In quell’esatto momento il dettaglio planò su di noi disegnando il suo sigillo nel futuro della mia storia.

(Aurora Semente, Dove tace il tempo)

 

 

Le nostre passioni sono fatte di dettagli, di sfumature.

Non riguardano solo gli amori ma ogni cosa. Gesti minimi che trasformano in scintilla di passione il quotidiano. Prospettive, punti di fuga, angolazioni nel chiasso delle giornate.